Una notizia triste

26 Agosto 2009 § 1 commento

Ritorno al lavoro dopo un periodo di riposo, e purtroppo arriva subito una brutta notizia.

Domenica scorsa è scomparso Roberto Bosio, “direttore area artistica” del Teatro Regio di Torino nel gergo aziendalistico, anima dell’organizzazione e della produzione di quel teatro nella semplicità dei fatti. Mi ero ripromesso di non scrivere mai su Fierrabras a proposito delle realtà a cui sono lavorativamente legato, ma in questo caso vorrei fare un’eccezione, perché Roberto Bosio rappresenta qualcosa di troppo importante. Rappresenta il mondo delle persone che vivono il teatro in modo tale da permettere al teatro di vivere; persone che non appaiono sui giornali a fare dichiarazioni su questo o quello, che il pubblico spesso non conosce, ma che abitano la vita dello spettacolo in maniera al tempo stesso fortemente professionale ed emotivamente profonda; persone che vedono con chiarezza dietro ogni nota eseguita l’intreccio di arte e mestiere, virtuosismi e vanità, amori, rancori, contratti, proteste, glorie e disonori dal cui magma sempre nasce l’arte; ma che nonostante la chiarezza di questa visione mantengono in loro stessi un’intatta capacità di emozionarsi e di comunicare con umanità. Se uno spettacolo riesce, se un teatro va avanti nonostante l’eccezionale tasso di individualismo, se non persino di follia che ne pervade l’atmosfera, è grazie a queste persone. Che non sono poche, ma di cui Roberto Bosio resta un esempio.

Bosio era entrato al Regio come maestro collaboratore, si era laureato in Economia con una tesi sul mondo della produzione lirica (con Milena Boni, pioniera degli studi sul marketing dello spettacolo dal vivo); nel frattempo, per molti anni ha insegnato al conservatorio di Ivrea (se non ricordo male), fino alla nomina di vicedirettore artistico, arrivata nel culturalmente fecondo periodo Majer-Tessore; da allora è sempre rimasto nell’area della direzione artistica, e nell’avvicendarsi delle direzioni e delle sovrintendenze ha rappresentato la continuità e il punto di riferimento per gli artisti che con il suo teatro collaboravano. Era sposato, con due figlie ancora piccole.

Anche se ci assomiglia molto, questo però non voleva essere un necrologio. Volevo solo comunicare un particolare tipo di sgomento; nel teatro – e forse nella vita – ci sono persone che vedi arrivare, agitarsi, brillare – di luce propria o più spesso di luce riflessa – e poi allontanarsi veloci; non sai neppure dove siano andate, e tutto sommato neppure ti interessa tanto. Ce ne sono altre che incarnano invece la stabilità e la continuità; non sono alla ricerca di qualcos’altro, o almeno non ora, forse domani. Sono lì, sai che ci puoi contare, che la loro vocazione è risolvere i problemi e non crearli per fare rumore; andare sempre avanti, alla faccia di quell’atmosfera da apocalissi imminente che sempre intossica ed elettrizza i teatri. Bosio era una di queste persone: rarissime e difficilmente sostituibili per le aziende, ma soprattutto impossibili da pensare assenti per gli amici e i collaboratori. La vita artistica ha bisogno di entrambi i tipi di persone: le comete e le stelle polari. Ma è quando vengono a mancare queste ultime che lo sgomento ti afferra con maggiore intensità.

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