Bravo Gustavo! e il gioco ricomincia

5 Ottobre 2009 § 0 commenti § permalink

bravo_gustavo

Quanti anni sono passati da quando il mercato discografico è entrato nella sua crisi senza fine? Da quanto tempo si assiste all’invecchiamento del pubblico dei concerti classici, al prosciugarsi della spinta estetica e innovativa dello spettacolo dal vivo? Quante spiegazioni sono state cercate, quante vie d’uscita sono state indagate? Nel frattempo, sulla già fragile economia della musica si sono abbattuti il crollo del sistema finanziario, la recessione, i tagli, la disoccupazione. Si è molto parlato della fine di un sistema, così come pareva giunto al capolinea un costume finanziario che aveva portato l’economia mondiale al collasso. E invece, ai primi segni di ripresa, ecco che a Wall Street si vedono rispuntare i superbonus per i manager, i derivati, i titoli spazzatura e via dicendo. E nel mondo della musica? Tanti studi, tanti convegni, tante parole. E nel frattempo, un po’ come a Wall Street, cosa stavano facendo gli intelligentissimi supermanager del big business musicale?

È molto semplice. Stavano cercando un nuovo Bernstein. Quello hanno imparato a fare, quello ancora sanno fare, e quello faranno, perché nel frattempo non hanno maturato nient’altro. In fondo è un po’ come vendere titoli spazzatura: li si occulta in un pacchetto complessivamente attraente sperando che nessuno abbia voglia di guardare troppo a fondo, e li si spaccia per meraviglie. A un certo punto però il sistema cede, e tutti si chiedono il perché. Abbiamo distrutto un mercato drogandolo di tre tenori, di incredibili porcherie crossover per un pubblico umiliato da grande fratello? Abbiamo scavato ogni recesso della volgarità e del kitsch, utilizzato ogni possibile appiglio per rendere appetibile un genere musicale a chi non lo vuole, tirando calci a chi finora ci aveva mantenuto? E ora che, dopo il prevedibile tracollo, qualcosa sembra tornare a muoversi che cosa facciamo? Ricominciamo da capo, naturalmente.

È quello che potrebbe venire in mente a chi osservasse l’incredibile onda mediatica che si diffonde dalla California, in questi giorni, per l’incoronazione di Dudamel a direttore della Los Angeles Philharmonic. Senza un nuovo eroe su cui investire tutti gli spiccioli rimasti, sembra sia impossibile progettare una qualsiasi ripresa. Ed ecco che il passaggio di un giovane (e bravo, per carità) direttore alla guida di una delle grandi orchestre americane non può che diventare un lancio in stile Hollywood, con tanto di brand (Gustavo!), minisiti, tecniche aggressive di marketing e persino un giochino elettronico, finanziato dall’orchestra, che ha fatto il giro del mondo.

È la strada giusta per uscire dalla crisi? Inutile domandarselo: è l’unica che questa industria dello spettacolo, i suoi finanziatori e i suoi improbabili manager, sappiano trovare. Personalmente la definirei una coazione a ripetere che ha del patologico. Ma immagino che trovare qualsiasi altra strada avrebbe comportato così tanto lavoro e così tante sfide intellettuali ed economiche che la sola speranza sarebbe stata da folli. Senza contare, e questo è forse l’elemento determinante, che sarebbe stato tutto infinitamente meno divertente. Il grande business della musica è un vecchio malato che gioca a fare il bambino, diviso tra la flebo e la playstation. Quello che ci chiede è solo di chiudere gli occhi e di giocare con lui; tutto tornerà come prima, promesso.

Dudamel e la bacchetta magica

6 Dicembre 2007 § 0 commenti § permalink

Per il suo debutto con la New York Philharmonic, Gustavo Dudamel ha ricevuto dalle mani di Barbara Haws, storica e conservatrice dell’orchestra, una delle tre preziosissime bacchette utilizzate da Leonard Bernstein. Questo per capire quale assurda aspettativa si sia creata intorno al giovane direttore venezuelano. La bacchetta del mago; una cosa più alla Harry Potter che alla Dukas. Dudamel l’ha usata per tutte e quattro le serate alla Avery Fisher Hall; in programma, la “Sinfonia India” di Chávez (pezzo eseguito con la NYP da Bernstein nel 1961), il Concerto per violino di Dvorák con Gil Shaham e la Quinta di Prokof’ev. Il «New York Times» ci avverte che alla quarta sera, martedì scorso, poco prima della fine, la bacchetta di Bernstein s’è rotta. Niente di personale, si dice.

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