Una fontana di lacrime al Barbican

15 Aprile 2008 § 0 commenti § permalink

Ainadamar al Barbican Centre di Londra in forma di concerto – e devo dire che risulta difficile immaginarla in scena, tanto poca azione drammatica quest’opera da camera contiene. La storia ha per protagonista Margarita Xirgu, la grande attrice catalana che riparò a Cuba prima del franchismo e diffuse in America Latina, dopo la fucilazione del poeta nel 1936, il teatro di Federico García Lorca. L’opera si articola in tre scene della durata complessiva di circa un’ora e mezza.

La prima scena (o “immagine”, come la definisce Golijov) si svolge in un teatro di Montevideo, dove Margarita, ormai vicina alla
morte, ricorda a un’allieva l’incontro con Lorca e tenta di
trasmetterle il giusto pathos per interpretare il personaggio di
Mariana Pineda. La seconda scena si concentra intorno al personaggio di Lorca, e Margarita immagina la scena della sua fucilazione vicino alla “Fontana delle lacrime”, la Ainadamar del titolo. La terza scena è un crescendo onirico di identificazione tra il poeta, il personaggio, l’attrice e l’allieva, culminante nella famosa “ballata” della Mariana Pineda “Io sono la libertà” (Yo soy la Libertad porque el amor lo quiso!…).

La prima osservazione da fare è che il libretto di David Henry Hwang è molto brutto e antidrammatico, e l’effetto era impietosamente amplificato dai sopratitoli inglesi e dall’arrivo dei versi di Lorca, che spiccano come diamanti nella sabbia. Per un buon tratto dell’opera si percepisce un forte intento didattico (tutto è spiegato, raccontato, quasi come in una cantata sovietica), e alcuni trasporti lirici sulla Revolucion suonano davvero piuttosto ingenui.

La musica è Golijov al quadrato. Chi non ama i compositori che fanno leva sui sentimenti lasci stare Golijov: da questo punto di vista la sua musica è quasi spudorata. La sua forza è uno strano miscuglio di intelligenza, senso della forma, ricerca espressiva e, appunto, spudoratezza sentimentale. Se si pensa ai fischi che Henze riceveva in teatro per opere come Boulevard Solitude, che in confronto ad Ainadamar è praticamente il Wozzeck, ci si chiede che fine abbiano fatto tutti quegli intransigenti e attivissimi guardiani del progresso artistico. Il pubblico, come ormai succede quasi regolarmente per questo tipo di musiche, era letteralmente entusiasta, e si è spellato le mani e arrochito la voce per una buona decina di minuti.

Certo, al successo hanno contribuito molto le belle e drammaticissime voci di Dawn Upshaw (Margarita), Kelley O’Connor (García Lorca), e lo spettacolare cantante gitano Jesús Montoya, nella parte del traditore Ruiz Alonso. L’orchestra non era a proprio agio, e si potevano spesso percepire dei forti problemi di equilibrio tra le voci amplificate, l’orchestra, il gruppo di flamenco amplificato e il coro femminile. Un equilibrio delicatissimo, che richiede inevitabilmente un attento lavoro al banco di missaggio, più che le istruzioni di un direttore, per quanto bravo come Robert Spano.

L’oceano di Golijov

29 Dicembre 2007 § 0 commenti § permalink

oceanaOceana è il penultimo dei Cantos ceremoniales di Pablo Neruda, una lunga lirica ricca di simboli e di metafore erotiche, forse la più appassionata della raccolta pubblicata a Buenos Aires nel 1961 (in italiano si può leggere nella traduzione di Giuseppe Bellina, edita da Passigli nel 2005). Passaggi oscuri e intrisi della personale epica di Neruda vi si alternano a versi di splendida luminosità. Una lunga invocazione, rivolta indirettamente all’amatissima Matilde, in cui la donna viene paragonata a una divinità marina, all’oceano stesso, al suo totalizzante e violento potere sul cuore del poeta.

Tengo hambre de no ser sino piedra marina,
estatua, lava, terca torre de monumento
donde se estrellan olas ya desaparecidas,
mares que fallecieron con cántico y viajero.

(Ho fame di non essere che pietra marina, | statua, lava, torre ostinata di monumento | dove s’infrangono onde ormai scomparse, | mari che morirono con cantico e viaggiatore.)

La commissione a Osvaldo Golijov, datata 1996, si deve a quello stesso Helmuth Rilling che quattro anni dopo lo spingerà a scrivere la Pasión Según San Marcos, che otterrà un’autentica ovazione alla prima di Stoccarda, e che nel marzo del 2008 potrà essere ascoltata a Ferrara. Golijov – nato nel 1960 in Argentina da una famiglia di origine askenazita (proveniente da Romania e Ucraina) – è nel frattempo diventato uno dei più popolari compositori della scena americana. La Deutsche Grammophon ha inciso tre dischi di sue composizioni (e non nella collana di contemporanea!), la sua ultima opera, Ainadamar ha vinto due Grammy, ha scritto le musiche per l’ultimo film di Coppola Un’altra giovinezza [Youth Without Youth] e mille altre cose. Le tappe che contraddistinguono il cursus honorum di un compositore di successo negli Stati Uniti, ma che non sempre spianano la strada al riconoscimento in Europa.

Oceana è una sorprendente composizione, che mescola in un particolare e per molti versi astuto sincretismo elementi barocchi, neoclassici, stilemi della musica pop e di diverse tradizioni popolari. Golijov prende 4 frammenti dalle 11 stanze del testo di Neruda, li organizza in tre “ondate” corali, un’aria solistica e un Corale finale, inframmezzandoli con due “richiami” virtuosistici per la voce sola della splendida cantante world argentina Luciana Souza e un gruppo di chitarre e arpa. Le prime tre parti corali possono ricordare, nel loro impeto travolgente, la Turba della Passione secondo San Matteo di Bach (verosimilmente in omaggio a Rilling e al contesto della commissione), a cui però si aggiunge un senso di tempestoso e ritmico riflusso, di immediato riferimento marino. Devo confessare che al primo ascolto questa molteplicità di segnali estetici divergenti lascia molto perplessi, e si fatica a capirne la cifra personale.

osvaldo_golijov_2L’impaginazione del disco, del resto, non aiuta. Alla “cantata” Oceana segue un lavoro per quartetto d’archi in due movimenti, intitolato Tenebrae, interpretato dal Kronos Quartet, e la raccolta si chiude con i Three Songs per soprano e orchestra, cantati meravigliosamente da Dawn Upshaw. Se in Tenebrae, che dovrebbe in qualche modo ispirarsi alle meravigliose Leçons de Ténèbres di François Couperin, si ascoltano cadenze barocche alternate a passaggi quasi pop, dove l’ostinato si confonde con il riff, le tre liriche per soprano rimandano a mondi molto diversi: in Lúa descolorida, per esempio, si sente il fin troppo facile rimando all’aria che nella Rusalka di Dvořák la protagonista rivolge alla luna, ma altrove si sente Mahler (per esempio nella bella ninnananna Close Your Eyes), e via dicendo.

Se attraverso l’ascolto di questo disco si cercherà di capire se Golijov sia o meno quel grande compositore di cui spesso si sente parlare, la risposta non è né immediata né facile. Sicuramente possiede una grande abilità tecnica – ottimo, per esempio, è il suo uso delle voci, e non stupisce che trovi interpreti di così alto livello; è chiaramente molto bravo nel mescolare i linguaggi e nel moltiplicare i rimandi; non ha paura di abbandonarsi a momenti che rasentano il kitsch o il sentimental-pop; possiede un vocabolario poetico e creativo molto vasto. È una voce originale? Sicuramente sì: per esempio riferimento simultaneo kletzmer e latino-americano, giustificato dalla storia familiare di emigrazione, è dotato di un discreto fascino e conduce a sonorità interessanti e in qualche modo inattese. Se tutto questo basti o no a farne una voce importante della musica d’oggi, è giusto che ognuno lo decida da sé. Personalmente nutro qualche dubbio, ma sono più che disposto a modificare questa opinione, in futuro.

Nella foto, Osvaldo Golijov; © Sara Evans, 2002.

O. Golijov, First Wave: “Oceana nuptial, cadera de las islas” (Ocèana nuziale, fianchi delle isole), Atlanta Symphony Orchestra and Chorus, dir. Robert Spano (reg. 2004)

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