A Mendelssohn tutto è vietato?

13 Gennaio 2009 § 0 commenti

mendelssohnNon comincia in maniera festosa il bicentenario della nascita di Mendelssohn. In un articolo di Jessica Duchen pubblicato ieri sull’«Independent» di Londra, si racconta infatti di un mistero legato allo strettissimo rapporto affettivo che legò il compositore al leggendario soprano Jenny Lind, che secondo un importante musicologo, Curtis Price, potrebbe gettare una luce fosca sulle circostanze della morte di Mendelssohn.

jenny_lindIl mistero avrebbe origine da un “affidavit”, una dichiarazione sottoscritta da Otto Goldschmidt, allievo di Mendelssohn e marito di Jenny Lind, depositato nell’archivio della Mendelssohn Scholarship Foundation (oggi ospitato dalla Royal Academy of Music di Londra), attraverso il quale nel 1896 dichiarava di avere distrutto una lettera del compositore alla cantante; nella lettera, datata 1847, Mendelssohn confessava il suo violento amore alla donna, le chiedeva di fuggire insieme a lui in America e minacciava il suicidio in caso di rifiuto. Scrive la Duchen: “Lind, come si può immaginare, rifiutò. Pochi mesi dopo il compositore era morto”.

Il documento di Goldschmidt avrebbe dovuto rimanere segreto per 100 anni, e dunque fino al 1996, ma per qualche strano motivo continuerebbe a essere tenuto nascosto, nonostante le insistenze di diversi studiosi, tra cui l’autrice dell’articolo. Nel 1847, l’anno della misteriosa lettera e della morte di Mendelssohn, Jenny Lind era ancora nubile (si sarebbe sposata cinque anni dopo), ma Felix era legato da dieci anni a Cécile Jeanrenaud in quello che è sempre stato descritto dall’agiografia romantica come un matrimonio straordinariamente felice; dall’unione erano già nati cinque figli.

Jenny Lind è una figura quasi leggendaria della storia dell’opera. L’“usignolo svedese”, come era soprannominata, oltre a una capacità vocale che le fruttò una precoce fama in tutto il mondo (celebre è rimasto il suo tour americano organizzato da P.T. Barnum, che le versò una cifra colossale per oltre 150 concerti) doveva essere dotata di un discreto fascino, se fra i sui grandi ammiratori si ricordano anche Hans Christian Andersen e Frederic Chopin. Il primo ruolo a cui è legata la sua carriera è quello di Agathe nel Freischütz di Weber; nel 1847 sarà Amalia alla prima mondiale dei Masnadieri di Verdi a Londra. Per lei Mendelssohn sognava di scrivere un’opera ispirata alla Lorelei, e se non riuscì mai a realizzare questo desiderio, per la sua voce scrisse nel 1846 la parte di soprano nel meraviglioso oratorio Elias. In fondo, che sotto il sublime religioso ci sia un fondamento erotico non è certo una cosa nuova; anzi, è per molti versi rassicurante. Per un anno, dopo la morte del compositore, Jenny non riuscì a riavvicinarsi all’oratorio; lo fece di nuovo nel 1848, raccogliendo più di 1000 sterline con cui creò proprio la Mendelssohn Scholarship Foundation, una fondazione votata alla protezione dei giovani compositori e musicisti. Quella stessa che oggi non sembra voler rivelare la verità sul rapporto tra lei e il compositore.

Ma perché tanto mistero? Che cosa c’è di scandaloso in questa storia? Assolutamente nulla, se si osserva la cosa con occhio disincantato e moderno. Che Mendelssohn non fosse quella figura di romantico e in fondo felice sognatore che lo schmalz Biedermeier tramanda si sapeva da tempo; i danni che questa caricatura borghese ha fatto alle ricezione della sua musica sono gravi, forse pari all’odio che il nazismo gli dimostrò per motivi razziali. Nell’articolo della Duchen, il violoncellista Steven Isserlis – che scopriamo essere lontano parente di Mendelssohn – invita all’ascolto del Quartetto in fa minore (op. 80), per rendersi conto di quanto potesse essere tormentata la sua musica (la sua anima?) sotto la superficie. Ma per qualche oscura ragione, a duecento anni dalla nascita, non si vuole che su questo compositore si getti uno sguardo diretto e limpido. Non comincia in maniera festosa, dunque, il suo anniversario; ma non è detto che tutto il male venga per nuocere.

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Questa è forse la più bella delle arie che il soprano canta nell’Elias: “Höre, Israel!”, con cui si apre la seconda parte dell’oratorio. Il soprano è Elly Ameling, e Wolgang Sawallish dirige l’orchestra della Gewandhaus di Lipsia, nell’incisione Philips del 1968.

In altro a sinistra, Jenny Lind nel 1846, ritratta da Eduard Magnus (Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie); a destra, Mendelssohn dieci anni prima nel ritratto di Theodor Hildebrandt (Berlino, Deutsches Historisches Museum).

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