Ritagli — Ian McEwan e l’elogio della curiosità

22 Aprile 2009 § 0 commenti

«Eppure è proprio alla curiosità, a quella scientifica in particolare, che dobbiamo una conoscenza genuina e verificabile del mondo, e la parziale comprensione del nostro ruolo in esso, come della nostra natura e condizione. Tale conoscenza possiede una bellezza tutta speciale, e può risultare tremenda. Stiamo appena cominciando ad afferrare le conseguenze di quanto abbiamo effettivamente imparato in tempi relativamente recenti. E che cosa abbiamo imparato? Mi avvalgo qui di un saggio di Stephen Pinker sul suo ideale di universalità: abbiamo imparato, tra le altre cose, che il nostro pianeta è un puntolino minuscolo in un cosmo di inconcepibile vastità; che la nostra specie esiste sulla terra da una irrisoria frazione di tempo storico; che gli esseri umani sono dei primati; che il pensiero è frutto dell’attività di un organo funzionante sulla base di processi fisiologici; che esistono metodi di accertamento della verità che possono condurci, talvolta anche in modo radicale, a conclusioni in contrasto con le leggi del buon senso, in relazione agli universi del molto grande e del molto piccolo; che credenze anche molto preziose e diffuse, se sottoposte al vaglio della pratica empirica, risultano spesso impietosamente false; che non è possibile produrre energia né sfruttarla senza registrare una perdita.»

Questo è l’insolito Ian McEwan conferenziere laico (o per meglio dire ateo) in Blues della fine del mondo (Einaudi, 2008). Un brevissimo (forse anche troppo: 44 pagine di testo a 9 euro) pamphlet contro lo sfruttamento degli argomenti escatologici da parte delle religioni, derivante da una conferenza tenuta all’Università di Stanford (poi inserita nel libro The Portable Atheist: Essential Readings for the Non-Believer a cura di Christopher Hitchens). E a pagina 41 arriva questo elogio della curiosità, aborrita dall’oscurantismo e via di salvezza per l’uomo che non si arrende all’ignoranza.

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